mercoledì 3 maggio 2017

"IL CAVALIERE E LA NOTTE" secondo volume di racconti di Agostino Spataro






Indice

L’umanità del “cuntu”                                                                                                          pag. V

Museo d’ombre                                                                                                                  pag.1

La Merica a Cummatini – Tanu e Turiddru – Zi Giuvanni, il cerusico - Il duca garibaldino - Testa di Panzittinu - La follia felice - La maschiata - Due santi napoletani - U re Magnu – Il ritorno dell’assente- Giovanni Antonio Colonna: fra Ioppolo e Roma / L’attentato a Mussolini.

Cronachette elettorali                                                                                                    pag. 65
Viva Torquato Tasso - Il primo dei non eletti – Il triplo lavoro.

L’amore prima del viagra                                                                                            pag. 107
Casto amore, a limone e che bello - La fotografia - Unione civile- L’amore al tempo del viagra.

Della morte e d’altre facezie                                                                                       pag. 131
Una morte libertina - Morto che allunga - Dietro le quinte della camera ardente – Un monologo nella cripta - L’incompiuta - Morto che saluta- Un vestito per la morte.

Pianeta onirico                                                                                                             pag. 183
Luna piena e maculata- Il risveglio del telamone- Peppi Nifu è tornato- Un uomo chiamato viaggio.

Il fiume anidro                                                                                                              pag. 207
Dazio - Costolette di maiale - A finanza - Vantari la vigna - Setti vestii e canticchia - Quattro piedi e un culo - In trincea, in trincea… La guerra sta… tornando - Fratello mulo




L’umanità del “cuntu”
C’era una volta il “cuntu”, il racconto orale che costituiva l’anello principale della catena di trasmissione della memoria. Per secoli, per millenni, grazie a questa peculiare forma di narrazione, gli uomini e le donne, anche analfabeti, ebbero accesso alla cultura, al diritto alla memoria. Oggi, purtroppo, non è più così.
A differenza del racconto scritto, quello orale non è statico ma è sempre in divenire. È come un fiume che va verso il mare e che durante la traversata incontra gente che attinge acqua o che ne aggiunge.
Così il “cuntu”, passando di bocca in bocca, corre il rischio di essere ritoccato, accorciato o allungato, in compenso assume nuove forme che gli consentono di continuare a vivere nel tempo.
Gli esempi più autorevoli di tale travaglio sono i Libri sacri delle tre religioni monoteiste (la Bibbia, i Vangeli, il Corano) scritti dopo lunghi periodi (anche secoli) di trasmissione orale. Chissà che fine avrà fatto il pensiero originario?
Sappiamo, solo, che da quando tali Scritture sono cristallizzate sul foglio, le guerre di religione non si sono più fermate.
Oggi, il racconto orale non regge più il confronto con le moderne tec-niche di narrazione e di comunicazione. Siamo passati dall'umanità del “cuntu”, che favorisce la socialità cittadina e la comunione familiare alla vita parcellizzata, solitaria, alienata dei contemporanei; dall’agorà al tubo catodico, dal salone del barbiere alla realtà anonima dei condo-mini, dagli ipermercati al consumismo sfrenato imposto dai “nuovi mercanti” che dominano il mondo.
L’umanità è sottoposta a un attacco insidioso, criminale e globale, che non ha precedenti nella sua storia moderna, conseguenza di un disegno neo-imperiale che si nutre di violenza, di morte e, come sempre, di profitti scandalosi. Contro tutto ciò è necessario promuovere una sorta di resistenza civile, culturale e di massa, elaborare e proporre un progetto culturale alternativo di comunicazione sociale.
Per salvare le lingue, le memorie, individuali e collettive. Non per tornare al passato ma per meglio organizzare il futuro. Per restare umani.
Questo lavoro vuole essere un piccolo contributo allo sforzo più grande invocato. Quel che io porto è un cestino di rosse cerase ossia i frutti del mio giardino segreto che coltivo, in solitudine, da decine di anni: ricordi, fatti veri o inventati, brandelli di memoria, prevalentemente, riferiti al mio borgo natio, oggi morente.
Agendo sul tenue filo della memoria, degli appunti ho fatto quel che ho potuto. Spero soltanto che il risultato sia degno dello sforzo compiuto. (a.s.)








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