martedì 11 novembre 2014

MONTEDORO, UNA PREZIOSA RARITA’ AMMINISTRATIVA



                                  Montedoro, la cupola del Planetario
 di Agostino Spataro

Anche in Sicilia si può…
1… In questa fase altamente critica per la vita degli enti locali e della stessa regione, c’è in Sicilia un piccolo borgo dove una luce di speranza illumina una realtà in controtendenza, un esempio di dinamismo virtuoso in contrasto con la crisi paralizzante delle autonomie isolane molte delle quali, fra tagli, evasioni tributarie e malgoverno, rischiano la deriva, la bancarotta.

Stiamo parlando di Montedoro, 1.700 abitanti nel nisseno, appollaiato fra le antiche solfatare del Vallone e le verdi vigne di Canicattì, ossia di una preziosa rarità amministrativa che può vantare, e fruire, una rete di servizi e opere sociali che rendono vivibile una condizione umana altrimenti triste e decadente.
Con ciò non si vuol dire che Montedoro sia il migliore dei mondi possibili poiché anche qui sono presenti acuti problemi sociali: emigrazione, disoccupazione, precarietà, ecc.
Solo segnalare che si sta lavorando per costruire un futuro che scongiuri quella sorta di “morte civile” che incombe su tanti piccoli comuni dell’interno dove, per tre quarti dell’anno, s’odono soltanto rintocchi di campane a morto e latrati di cani.

2… Visitando Montedoro si coglie un senso di sano fervore, quasi interamente declinato sul versante della socialità.  Par di vivere il sogno, in scala ridotta, del “socialismo pragmatico” emiliano.
Ma non siamo in Emilia e nemmeno a Marinaleda, la cittadina dell’Andalusia, diretta dal 1979 da un “alcalde” comunista, Manuel Sanchez Gordillo, dove “i servizi alla cittadinanza hanno un costo simbolico… E la cura degli spazi comuni compete a tutti i cittadini…La Polizia Locale non esiste e, manco a dirlo, non esiste la criminalità. Come la disoccupazione.” (“La Repubblica”, 27/12/2013)
Siamo in un borgo dell’aspro entroterra siciliano senza grandi pretese, ma con tanti risultati all’attivo che, per certi versi, costituisce un esempio perfino imbarazzante poiché pone un interrogativo ineludibile: perché qui si sono potuti realizzare tanti servizi e opere sociali e altrove no?
Miracolo?  No, solo programmazione, buongoverno! Opera certosina e di lunga lena di diverse compagini di sinistra guidate, per un trentennio, da Federico Messana (Pd) uomo di solida cultura e di esemplare efficienza amministrativa. E d’inattaccabile onestà. Virtù rare, anzi rarissime, di questi tempi, specie se riunite nella stessa persona. 
Quest’uomo, minuto e schivo, dal piglio vagamente volterriano, è il protagonista della “favola” che andiamo a raccontare; favola di un potere forte, perché democratico e trasparente, che ha prodotto risultati davvero brillanti, apprezzati dai suoi concittadini che l’hanno confermato sindaco per la settima volta. Altro che rottamazione!

3… La prima tappa è al museo della Zolfara, insediato dentro e intorno alla vecchia miniera sociale “Nadurello” (una storia di sofferenze e di lotte che portarono all’autogestione operaia), dove si possono vedere immagini e ricostruzioni della drammatica condizione operaia, specie dei “carusi” (bambini annichiliti dal sopruso e deformati dalla fatica), cogliere l’importanza strategica dello zolfo che rendeva una fortuna ai padroni, ai gabellieri, sovente mafiosi, e miserie e malattie ai minatori.
Sul piazzale, come a guardia del museo, un corteo pietrificato di eroi della miniera. Lo apre Leonardo Sciascia e lo chiude Luigi Pirandello, gli autori siciliani più legati alla realtà della zolfara.
In tutto l’ordito dell’organizzazione museale si coglie, talvolta in filigrana, l’intreccio fra zolfara e letteratura abilmente volto anche all’attrazione turistica. Ispirato da una novella del Nobel agrigentino, è nato “l’itinerario di Ciaula”, il carusu uscito dalla bocca dell’inferno che, finalmente, “scopre la luna”, il mondo circostante, la speranza di una vita nuova.
Al moderno Ciaula, che non guarda più il cielo perché accecato dai bagliori del delirio urbano, la Stargeo (associazione locale di gestione dei servizi) offre la possibilità di salire sulla sommità del monte Ottavio (30 ettari di pineta, trasformata in parco urbano attrezzato), a visitare l’Osservatorio astronomico, per scoprire la luna e indagare i misteri delle connessioni astrali, per “viaggiare” nello spazio infinito… con Leopardi cui è dedicata la struttura.
Accanto c’è il Planetario, una formidabile opera scientifico-divulgativa, con una cupola dal diametro di 7 metri e di 50 posti a sedere per l’osservazione guidata, molto apprezzata dalle scolaresche.

4… Scendendo verso l’abitato s’incontrano alcuni capannoni dai quali salgano cori di pecore belanti appena rientrate dal pascolo negli ovili sociali realizzati dal Comune e assegnati ai pastori.  Un’iniziativa lodevole che ha salvaguardato una piccola economia e una tradizione, la civiltà pastorale, che da millenni fornisce all’uomo alimenti insostituibili.
Seguendo la “mappa dei tesori”, distribuiti per l’intero l’abitato, s’incontrano diversi servizi e strutture per il tempo libero e per la crescita culturale. A Montedoro operano ben quattro centri d’incontro differenziati secondo l’età (dai bambini, ai giovani, agli anziani, ecc), un palazzetto che ospita una ricca biblioteca (25mila volumi) con annessi spazi ricreativi e didattici, perché l’obiettivo- mi dice Federico - è quello di coniugare studio, svago e creatività.   
Il minuscolo borgo si è permesso il “lusso” di dotarsi di un moderno Teatro comunale, una smagliante architettura in vetro blu di 250 posti che, in certi periodi, diventa cinema.
Non è il solito monumento alla vanagloria del sindaco o del suo protettore politico, ma una struttura viva, operativa con una programmazione stagionale che può contare su 180 abbonamenti e su un certo numero di spettatori provenienti anche dai comuni vicini.
Durante l’estate il teatro si sposta all’Arena, nel cuore della grande villa comunale, dove i posti diventano 1.000.

5… Forse, un giorno, a Montedoro arriverà anche il… mare. Nell’attesa, vi sono due piscine comunali: una semiolimpionica che funge da vero e proprio lido e un’altra, più piccola, all’interno del complesso culturale - ricreativo “Le cupolette rosse”, dove si trovano un ristorante-pizzeria, sale per convegni, per feste, abbellite da murales e sculture di nobilissima fattura. Com’è noto, il grande problema (in genere irrisolto) delle opere sociali pubbliche non è solo quello di realizzarle, ma di farle funzionare per carenza di personale. In Sicilia, la domenica, non aprono nemmeno i musei più rinomati!
A Montedoro la gestione è stata affidata a società private del luogo che pagano un canone al Comune e si accollano le spese di manutenzione degli impianti. Un ottimo risultato per un piccolo ente locale che, senza spesa, riesce a offrire una serie di servizi alla popolazione, ai turisti e ci guadagna pure.
Camminando fra case di gesso e cortili fioriti, andiamo a visitare le cinque “case-museo”, architetture semplici, tipiche della “civiltà contadina” adattate secondo un’originale concezione etnografica: abitazioni antiche che diventano museo di quel che sono state.
C’è la casa del bracciante senza terra che mostra la povertà delle sue attrezzature e i segni di una triste condizione umana. Al contrario, quella del “burgisi”, (proprietario agiato, spesso “gabelloto” del feudatario) dove, più che arnesi da lavoro, sono esposte le “comodità” sue e della famiglia.
A complemento, ecco la “casa- museo” degli antichi mestieri - quasi tutti spariti - dove il visitatore può “vedere” la bottega di un fabbro, di un barbiere, di un sarto, ecc; el e novene del “Natale”, con i presepi e gli altarini votivi, illustrate dalla penna di una raffinata scrittrice anglo-francese, Luise Hamilton, che visse a lungo a Montedoro.              

6… Un patrimonio ricco, variegato che richiama una quantità crescente di visitatori, anche scolaresche che qui giungono per una gita istruttiva e ricreante. Flussi interessanti che hanno indotto il Comune a creare “l’albergo diffuso” ossia una rete di residenze, di mini appartamenti distribuiti nel centro storico, per un totale di 160 posti-letto, dotati di tutti i comfort (bagno, tv, aria condizionata, ecc) offerti, a prezzi accessibili, dalla società privata “Il borgo” che ne ha la gestione.  
Infine, due parole per segnalare un’altra “meraviglia”: il parco delle sculture a cielo aperto, disseminate nelle ville e negli angoli più suggestivi del paese. Si tratta di decine di opere di scultura, realizzate in pietra di Sabucina, donate al Comune dagli artisti, provenienti da ogni angolo del Pianeta, partecipanti alle diverse edizioni di “Montedoro Arte”.  
Vi sarebbero altre cose meritevoli di una menzione (le case comunali assegnate alle famiglie meno abbienti, le case popolari realizzate con una procedura “personalizzata”, la “Casa dell’acqua” l’impianto pubblico di acqua depurata, ecc.), ma spero di aver reso un’idea di questo grazioso paesino dove si può trascorrere un week-end sereno, alternativo. Agli scettici, anche fra gli amministratori, non resta che andare a Montedoro a verificare e, perché no, anche a imparare.
(pubblicato il 9 novembre 2014 in : montefamoso.blogspot.it) 
  









venerdì 7 novembre 2014

IL BARONE GARIBALDINO DI JOPPOLO GIANCAXIO

 
ASPROMONTE: GARIBALDI MARCIAVA SU ROMA O VERSO I BALCANI?  
Autore: Agostino Spataro  

1... L’interrogativo nasce dalle lettere del duca garibaldino
Si scoprono nuove testimonianze sul Risorgimento siciliano nelle tre lettere inedite, conservate nell’Archivio di stato di Palermo, scritte da un siciliano, nobile e garibaldino, fra il 1° e il 17 ottobre 1862 dal carcere di San Benigno (Genova) dov’era stato ristretto, con altri volontari, dopo la resa d’Aspromonte. L’autore è Calogero Gabriele Colonna, duca di Cesarò e barone di Joppolo Giancaxio, il quale racconta all’amico Luigi De Brun, redattore del periodico palermitano “La favilla”, come andarono esattamente le cose in Aspromonte e un po’ accenna al clima politico e morale dei primissimi anni del travagliato percorso unitario. Insomma, uno che non parla per sentito dire, ma per essersi trovato nel mezzo della tragica sparatoria dell’agosto 1862. Com’era stato, a soli 19 anni, nell’aprile del 1860, fra i coraggiosi che, a Palermo, diedero vita alla sfortunata rivolta della Gangia e per questo condannato a morte, insieme al padre, da quel Borbone che oggi qualcuno rimpiange. Tre lettere importanti che- come si evince dai brani seguenti- illuminano di una luce nuova i fatti d’Aspromonte e, al contempo, ci rendono la cronaca ragionata, palpitante del dramma consumatosi fra camice rosse e soldati regi, fra italiani combattenti per la stessa causa: l’Unità d’Italia. “I bersaglieri di Pallavicino avanzavano sempre; Menotti ordinò di correre loro incontro. Obbedimmo. Con le mani alzate in aria ci avvicinammo alle grida di “Viva l’Italia”, “Viva Vittorio Emanuele”, “Viva Garibaldi”, “Viva i fratelli Italiani”. I regi risposero col grido unanime di “Viva Garibaldi” e contemporaneamente ci circondarono, disarmarono alcuni, e ci dichiarano prigionieri…”

2... Aspromonte: cronaca di un assurdo scontro fratricida
Gridavano gli stessi slogan, suonavano gli stessi “tocchi”, parlavano il medesimo linguaggio della libertà eppure hanno dovuto affrontarsi, e morire, in uno scontro fratricida (“aggressione fraterna” lui la chiama) che solo l’alto senso di responsabilità nazionale di Giuseppe Garibaldi evitò di trasformare in una carneficina. “Si disse essere stati i garibaldini i provocatori: ti posso assicurare sull’onor mio del contrario.” L’ordine del Generale era di non rispondere al fuoco. “Solo le guerriglie di Corrao non ressero allo spettacolo per paura o per impeto…e risposero al fuoco col fuoco.” Fino a quando: “Il Generale, ch’era a piedi allato ad una bandiera con lo scudo dei Savoia, cadde tra le braccia di Turillo Malato che si distinse per coraggio e sangue freddo. Anche Maurigi restò al suo posto. Rocco Gramitto (zio di Luigi Pirandello ndr) era al mio lato. Corrado Niscemi restò sempre in piedi e faceva il diavolo a quattro per far cessare il fuoco…” Da notare che il duca, pur avendo il grado di sottotenente della guardia dittatoriale, partecipò alla spedizione come soldato combattente “rifiutai di entrare nello Stato Maggiore… vi andai pour payer de ma personne in una quistione vitale per l’Italia… la mia camicia rossa significava Roma solamente e non fremiti rossi né altro.” (dalla lettera del 17 ottobre)  

3... Non tutti furono “gattopardi”
Una notazione opportuna che ci dice che non tutti i rampolli della nobiltà siciliana sostenitori dell’impresa garibaldina, per quanto moderati, furono necessariamente “gattopardi”. Almeno nel caso di questa famiglia, l’impeto unitario e il desiderio di cambiamento proseguirono oltre l’annessione della Sicilia al regno sabaudo. Come detto, anche il padre di Gabriele, Giovanni Colonna Filangeri fu fervente patriota e pagò di persona la sua devozione alla causa: condannato a morte per la rivolta della Gancia fu liberato da Garibaldi che lo nominò primo governatore di Palermo. Successivamente, Vittorio Emanuele lo nominò senatore del regno e prefetto di Bergamo. Da quest’ultimo incarico si dimetterà non per colpa, ma per dignità, per non fare da capro espiatorio nella clamorosa polemica seguita all’affaire di Sarnico (maggio 1862) nella quale, da prefetto, dovette bloccare d’imperio il suo amico e salvatore Garibaldi a capo di una spedizione diretta in Trentino. E se ne tornò- confessa in un’altra lettera- a Palermo, alle sue trascurate terre di Joppolo ( i cui grani sostentarono, per quasi tre secoli, l’illustre famiglia) che è anche il mio paese, dove i duchi vollero essere sepolti, alcuni addirittura trasferiti dal cimitero palermitano dei Rotoli. Perciò, li considero un po’ compaesani. Ferme restando, naturalmente, le distanze politiche e sociali, alle quali tengo, giacché loro erano i feudatari (non fra i più rapaci) e i miei bisnonni i loro coloni.  

4... Una folgorante carriera politica
Insomma, gente tosta, motivata questi Colonna, quasi sempre al centro degli avvenimenti, come si evince anche dalla breve e brillante carriera dell’illustre autore di queste missive, nato, nel 1841, a Messina. Dopo la Gangia, prende parte alla campagna garibaldina fino al referendum di annessione; a 21 anni lo troviamo in Aspromonte; negli anni successivi è deputato provinciale di Palermo e presidente del consiglio provinciale di Messina; nel 1969 fonda il giornale “La Gazzetta di Palermo”, nel 1870 (a soli 29 anni) è eletto deputato alla Camera, per la Sinistra riformista di Crispi, nei collegi di Aragona e di Ragusa. Antimafioso quando nessuno ammetteva l’esistenza della mafia: memorabile è rimasta una sua dichiarazione annessa agli atti di un’inchiesta parlamentare del 1875. La morte lo colse nel fiore della vita: nel 1878, a 37 anni. Appena in tempo per sposare Emmelina Sonnino, sorella di Sidney, da cui nascerà Giovanni Antonio, altra personalità di rilievo della politica siciliana e italiana del primo trentennio del ‘900. 

5... Non saremmo iti a Roma perché Garibaldi contava di passare in Oriente… Il cuore delle lettere è “la questione romana”. Perciò, il duca si diffonde in giudizi anche aspri sui protagonisti di quei primi anni di vita unitaria. In quella del 10 ottobre, spiega a De Brun le ambiguità del gabinetto Rattazzi. “Se la Francia non ci da ora Roma con le buone, ce la darà appresso per forza…Dico la verità, Luigi mio, con Rattazzi le cose non possono stare in gamba, ammenoché domani ci conduca difilato alla nostra capitale…Intanto all’interno si sta malissimo: a Palermo riesce possibile organare una setta di accoltellatori, nel Napoletano primeggiano i briganti, lo stato d’assedio all’ordine del giorno…Si è ritornato molto e ben molto indietro..” Infine, nella lettera del 17 ottobre, confida al suo corrispondente una verità raramente considerata dagli storici. A suo dire, il vero obiettivo della spedizione non era Roma, ma l’Oriente ossia alcuni paesi balcanici (Serbia, Montenegro) dove- si riteneva- esistesse una condizione pre- insurrezionale contro l’Austria. “Ti dissi già che Garibaldi fosse quasi sicuro che noi non saremmo iti a Roma… perché contava di passare in Oriente; ne son prova il tempo immenso perduto in Sicilia e i mille uomini stranamente abbandonati a Catania. Il suo progetto era quello di obbligare il governo a dichiararsi apertamente nel fatto di Roma e a mettere le carte in tavola.” Ferme restando le eventuali verifiche in sede storica, la notizia mi sembra, comunque, degna di nota.  
Si ringrazia il Dott. Agostino Spataro per l'invio ed il permesso alla pubblicazione di questo articolo Documento inserito in rivista "TUTTO STORIA" del 02/10/2010

mercoledì 5 novembre 2014

QUANTO E' BELLA E GENEROSA MADRE NATURA!

Foto mie, 2014: foto 1: l'austera bellezza del limone; foto 2: la misteriosa eleganza delle sorbole; foto 3: il fascino vellutato della ficodindia; foto 4: fiori di casa mia; foto 5: nido di cactus a Torre Salsa; foto 6: la bocca vermiglia della melagranata.

SCONTO SUI MIEI LIBRI NELLE LIBRERIE FELTRINELLI

Apri il file: http://www.lafeltrinelli.it/libri/spataro-agostino/257930

IOPPOLO IN UNA CARTA GEOGRAFICA DEL 1747

Questa foto riproduce una carta della Sicilia, redatta da geografi austriaci nel 1747. Davvero una preziosa rarità che ho trovato, qualche anno fa, presso una libreria antiquario di Budapest. La sua peculiarità consiste nel fatto che è molto dettagliata, precisa. E'una della pochissime nella quale figura il nome di Ioppolo. Bisogna ingrandire bene per rilevarlo. Ho messo una crocetta per facilitarne l'individuazione. (a.s.)